
CAPPUCCETTO ROSSO
Come in tutte le favole di Perrault, anche in quella di Cappuccetto Rosso, dietro un’apparente semplicità, vengono affrontati temi estremamente complessi: quelli della violenza, della morte e dei cattivi incontri…Fondamentale quello dell’iniziazione in chiave antropologica: per diventare grandi occorre superare la foresta con tutti i suoi pericoli e… chi sbaglia, paga.
In Cappuccetto Rosso, però, a differenza di altre favole di C. Perrault, non esiste il lieto fine: il lupo divora la nonna e la bambina compiendo un vero e proprio massacro. A mettere il lieto fine provvederanno solo i fratelli Grimm, più di un secolo dopo, inventando la figura di un “giustiziere”, il cacciatore, che salverà la nonna e Cappuccetto uccidendo il lupo.
Partendo dalla fiaba di Perrault e dalle sue contaminazioni, è nato uno spettacolo che si impernia intorno ai diversi punti di vista dei suoi protagonisti. La favola, infatti, è raccontata tre volte, ma si tratta di tre storie diverse, in quanto la percezione degli avvenimenti viene profondamente modificata dalla prospettiva da cui – questi – vengono osservati; scaturisce quindi, un senso relativo della verità, che non può e non deve essere una sola e, soprattutto, mai fine a sé stessa.
La mamma racconta una storia cupa e angosciata, espressione delle sue paure e del suo modo di percepire la foresta (la vita, il mondo) che in un modo o nell’altro le porterà via la sua bambina.
Il lupo narra, invece, la sua storia (una storia ironica), la sua verità: un Cappuccetto Rosso che non riveste alcun valore affettivo, ma semplicemente alimentare, di sopravvivenza: mors tua vita mea.
Quello di Cappuccetto Rosso, infine, è un racconto pieno di stupore, di incantamenti e di timori, di ingenuità anche, ma, al tempo stesso, di disillusioni: è l’adolescente che subentra al bambino che fu e che, d’un tratto, percepisce la vita in tutta la sua potenza, vacillando di fronte alla scoperta di quell’abisso.
E poi… c’è una quarta verità: quella degli attori, da cui dipendono le verità dei personaggi che, senza gli attori, non avrebbero modo di esprimersi, in quanto non sono esseri che vivono di luce propria ma solo stimoli rannicchiati tra le pieghe della creatività; canovacci per attori che si fanno autori di un mondo fittizio, il Teatro, che meglio può dire, però, e con “piacere”, verità spesso occultate da una percezione troppo realistica della realtà.
Una produzione di Replicante teatro
Concept: Andrea Damarco e Lilliana Nelva Stellio
Testo, Drammaturgia e Regia: Andrea Damarco
Con: Andrea Damarco, Alexine Dayné, Loredana Iannizzi